mercoledì 22 gennaio 2014

L’ombra dell’Europa


Crisi, recessione, luce in fondo al tunnel che tarda ad intravedersi. È questo il ritornello più in voga da qualche mese (o forse anno?) a questa parte. Ma se per qualcuno “il peggio è ormai alle spalle”, probabilmente sarebbe il caso di armarsi di santa pazienza e di una buona dose di coraggio per fronteggiare al meglio ciò che ci aspetterà nel prossimo futuro.
Patto di bilancio europeo”, “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria oppure, più semplicemente, “Fiscal compact. È questo lo spettro che aleggia sul nostro Paese e su molti altri in nome del “ce lo chiede l’Europa”.
L’accordo, approvato con trattato internazionale il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1º gennaio 2013, rischia di celare dietro le sue cosiddette “regole d'oro" la definitiva pietra tombale per la nostra economia.
A partire dal 2015 l’Italia sarà condannata a rispettare parametri a dir poco utopistici quale, su tutti, un rapporto debito/PIL non superiore al 60% (per la cronaca, siamo oltre il 133%). Avremo vent’anni di tempo, anche se il conto alla rovescia sembra già iniziato. A quel punto si ricorderanno nostalgicamente le baruffe per raccogliere, tra le macerie del territorio, l’irrisoria cifra di 4 miliardi di euro per sospendere una rata dell’Imu, vere e proprie briciole a dispetto dello spropositato sforzo economico cui saranno soggiogati tutti gli italiani.
Con un debito pubblico che assurge oramai a livelli impensabili (siamo a 2.104 miliardi, nuovo record) e con l’onnipresente cappio al collo rappresentato dal rispetto di quel 3% nel rapporto deficit/PIL, i futuri governi dovranno sobbarcarsi l’onere di reperire risorse tanto mastodontiche quanto insostenibili (si parla di decine di miliardi di euro, ogni anno per 20 anni) con lo scopo di assicurare una riduzione media annua del rapporto debito/PIL di 3,65 punti percentuali (che, stando all’attuale situazione, è il minimo indispensabile per rientrare nel perimetro richiesto nei termini temporali stabiliti).
Come fare? Malgrado sia oramai appurato che austerità e tasse deprimono i salari reali e annullano i consumi, non sarà percorsa altra strada che la più semplice: quella fiscale. Ancora tasse, come non fosse già abbastanza. Confcommercio ha recentemente rilevato che quello appena toccato collima con il livello di tassazione più elevato nella storia del nostro paese ed il problema è che tutto ciò, oltre ad annichilire i consumatori, annienta quasi radicalmente le velleità di ripresa da parte delle imprese, sottomesse ad un sistema che riserva loro trattamenti se possibile ancor più aspri. Come non bastasse, i rubinetti delle banche sono incontestabilmente chiusi in modo ermetico (Osservatorio Credito Confcommercio e Banca d’Italia) e, in un contesto del genere, non sorprende se i principali effetti saranno riscontrati sul lato occupazionale (che già oggi fa rilevare dati record).
Da questa situazione non se ne uscirà. Peggiorerà. È un cane che si morde la coda: tasse, consumi a picco, credit crunch, disoccupazione. L’unica via, per tentare di “prevenire” l’ondata che si intravede all’orizzonte, è ridiscutere la posizione del Paese nei confronti dell’Europa. Primo punto in agenda? Il Fiscal compact ovviamente.
Daniele Serio

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