L’opera scritta nel 1951 inaugura la trilogia I nostri antenati, insieme a Il
barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959).
La trilogia di genere fantastico è una complessa
allegoria sull'uomo contemporaneo.
L'autore stesso indicò in una premessa di considerare
collegati i tre romanzi: "Il
racconto nasce dall'immagine, non da una tesi che io voglia dimostrare;
l'immagine si sviluppa in una storia secondo una sua logica interna; la storia
prende dei significati, o meglio: intorno all'immagine s'estende una serie di
significati che restano sempre un po' fluttuanti, senza imporsi in
un'interpretazione unica e obbligatoria. Si tratta più che altro di temi morali
che l'immagine centrale suggerisce e che trovano un'esemplificazione anche
nelle storie secondarie: nel Visconte storie d'incompletezza, di parzialità, di
mancata realizzazione d'una pienezza umana; nel Barone storie d'isolamento, di
distanza, di difficoltà di rapporto col prossimo; nel Cavaliere storie di
formalismi vuoti e di concretezza del vivere, di presa di coscienza d'essere al
mondo e autocostruzione d'un destino, oppure d'indifferenziazione dal tutto
".
In questo primo romanzo si narra del visconte Medardo
di Terralba che arriva insieme allo scudiero Curzio all'accampamento cristiano
in Boemia per partecipare alla guerra contro i Turchi. Durante la sua prima
battaglia, viene colpito da una palla di cannone, che lo squarcia in due metà.
Viene ritrovata la sola parte destra, pensando che l'altra sia andata
distrutta. I medici del campo riescono a salvarlo anche se dimezzato e può
quindi tornare a Terralba. Qui i sudditi si rendono conto di come fosse tornata
solo la parte malvagia del visconte, che si sbizzarrisce in nefandezze, tanto
che prenderà il soprannome di "il Gramo".
Un giorno però riappare anche la parte sinistra del
visconte - la metà buona, salvata da alcuni eremiti con erbe miracolose. Il
"Buono"
- che in opposizione al Medardo malvagio vive quasi da eremita nel bosco di
Terralba - si attiva subito per porre rimedio alle ingiustizie del suo doppio:
tuttavia, se un Medardo è indubbiamente
disumano e perverso, l'altro è eccessivamente buono. Il loro conflitto
viene ulteriormente esacerbato dal fatto che entrambi si contendono l’amore di Pamela, una giovane
pastorella che, con molto giudizio, rifiuta le esagerazioni dell’uno e
dell’altro.
Mentre gli abitanti di Terralba non possono
più sopportare né il Gramo né il Buono, il narratore e il dottor Trelawney architettano un piano per riunire le
due metà del nobile. L'occasione si presenta il giorno delle nozze di Pamela,
che è stata costretta dai genitori a sposare una delle due “metà” del visconte.
Calvino grazie ad una divisione stilistica, tra uno modello realistico, sulla linea del romanzo storico e di quello d'avventura e un
altro, fiabesco-allegorico
(una tipologia cui Calvino ha sempre dedicato molta attenzione,
compone non un semplice racconto sull’opposizione tra bene e male, tra ambientazione realistica
e sviluppo
fantastico della trama, ma riflette sulla personalità dimezzata
come vera identità
dell'essere.
Questa divisione diventa, per l'autore, allegoria dell'uomo contemporaneo,
"mutilato, incompleto, nemico a se stesso", dell’intellettuale, per
essere più precisi, dimezzato, diviso a metà secondo la linea di frattura tra
bene e male.