La
poesia principale dell'opera è intitolata Il corvo e fu pubblicata per
la prima volta il 29 gennaio 1845.
La
poesia, come altri lavori di Poe, ad esempio Il gatto nero e Il cuore
rivelatore, è uno studio di colpa o perversione. Attraverso una musicalità
e atmosfera sovrannaturale, l’autore narra la cupa vicenda di un amante ancora
in pena per la sua amata morta, che, mentre medita su un grande volume, a
mezzanotte riceve la visita di un corvo che non farà altro che ripetere
monotonamente Mai più, tracciando, verso le ultime strofe, l'apice del
dolore nell'amante per la perdita del suo amore.
Tutte le
allitterazioni, le rime e il lessico arcaico creano un'atmosfera gotica, peculiare
inoltre per la forma statica delle diciotto strofe. Tale staticità contrasta
fortemente con il costante aumento della tensione e dell'ansia, immagine
chiarissima della crescente paranoia dell'autore. Il personaggio impara
velocemente cosa l'uccello risponderà ai suoi quesiti, e sa che la risposta
sarà negativa Mai più. Nonostante ciò lui continua a porre delle domande
che potrebbero ottimisticamente avere delle risposte positive, ma la risposta
predestinata non fa altro che accrescere l'angoscia del narratore e di
conseguenza del lettore.
Il
narratore è diviso tra il desiderio di dimenticare e il desiderio di ricordare.
Alla fine il narratore si aggrappa al ricordo di tutto ciò che ha lasciato. Non
c’è didattica, non c'è una morale nel racconto: c’è il senso di colpa ma inteso
dall’autore come perversione e desiderio di auto-distruzione. Come l'inspiegabile
ed inesorabile desiderio di ognuno di distruggere.
Alla fine quindi ciò che il corvo gli ha tolto così
crudelmente è la sua solitudine, ma questa crudeltà è insita nel narratore
stesso perché non sa esimersi dall'interrogare il corvo; è affascinato dalla
risposta ripetitiva e desolata dell'animale. Lo interroga continuamente, nella
speranza che esso risponda "sì", o forse, contro ogni desiderio
positivo, nella speranza di sentireun altro
"no".