Una splendida commedia degli equivoci scritta nel 1954,
una commedia goliardica contro la pochezza dell’essere umano dove, l’autore si
fa beffa del mondo e di tutto ciò di cui gli uomini non riescono a rinunciare
come il potere, la ricchezza materiale e la politica.
Lo scrittore tratteggia in modo nitido la miserabile
pochezza dell’essere umano ma lo fa con un tono burlesco grazie al continuo
mascherarsi dei personaggi che, di volta in volta, cambiano identità: i due re
che si alternano a turno, nel ruolo di regnante e il suo sgabello, il
mendicante che si trasforma in boia, il regnante che si maschera da mendicante,
ecc…
Con questa commedia l’autore cerca di spiegare il motivo
per cui si giunse alla costruzione della Torre di Babele che, a quanto narra il
mito, fu una tra le più grandiose anche se tra le più assurde imprese
dell’umanità. Ma come sempre in Dürrenmatt, giallista imbroglione, i conti non
tornano, e i piani di Nabucodonosor falliscono miseramente: «Il cielo ha disprezzato la mia opera. Non ho
trovato grazia».
Un’opera che cattura subito per l’intensità della
riflessione sullo stato sociale e sulla giustizia; profonda e leggera insieme, basata
su una trama che diverte come la commedia classica, dai dialoghi rapidissimi e
brillanti, è in più, proprio come quella, fa riflettere. La scrittura di
Dürrenmatt si conferma ironica mettendo in scena con leggerezza tematiche impegnate
quali la lotta per il potere, la sopraffazione nei confronti dei più deboli, la
satira sull’aldilà e l’ovvia denuncia dell’abuso di potere e dell’avidità. È
un’altra, lampante prova della sua pungente e brillante satira.