mercoledì 7 ottobre 2015

RIFIUTARSI e passare al contrattacco

(immagine dal web)
Che il Pianeta fosse sotto attacco lo sappiamo bene, così come sappiamo che i nemici dell’ambiente nel quale dobbiamo vivere e lasciare ai nostri figli e alle generazioni che verranno, sono persone senza scrupoli, mosse da avidità e sete di potere. Sono le grandi multinazionali dell’energia, dell’industria farmaceutica, del cibo. Sono quelli delle infrastrutture ad ogni costo, anche se sono inutili, sono i cementificatori, gli sfruttatori del suolo, i cattivi amministratori, sono coloro che si fingono ambientalisti nei programmi, nei proclami o nelle pubblicità e poi nella realtà hanno come unisco scopo il profitto personale.

In questi giorni l’ultimo a lanciare un allarme serio e grave è stato il WWF che nel suo Sito-web scrive:
31% dei siti naturali Patrimonio dell'umanità - 70 su 229 tra barriere coralline, parchi nazionali, riserve naturalistiche - è minacciato dalle esplorazioni per la ricerca di petrolio, gas e minerali. Un dato in crescita rispetto al 24% di un anno fa. A lanciare l'allarme è un nuovo rapporto del WWF, da cui emerge che il pericolo riguarda soprattutto i Paesi in via di sviluppo.
Dal parco nazionale del Virunga in Congo a quello del Lago Malawi, fino a uno dei più grandi parchi faunistici mondiali, la riserva Selous in Tanzania, 25 patrimoni mondiali su 41 (61%) sono interessati da attività o concessioni per le estrazioni. In Asia il problema riguarda 24 siti su 70 (34%), nell'America latina e caraibica 13 su 41 (31%). La situazione è meno grave in Occidente: in Europa e Nord America sono in pericolo 7 siti su 71 (10%). Tra questi il parco nazionale del Coto Donana, situato nell'estuario del fiume Guadalquivir, nel sud della Spagna, una delle zone umide più importanti d'Europa per l'unicità della biodiversità che ospita.
I siti naturali Patrimonio dell'umanità, che coprono meno dell'1% della superficie del Pianeta e hanno un valore eccezionale in termini di specie e paesaggi, corrono un rischio crescente di sfruttamento e di danni irreparabili, che a loro volta danneggiano le comunità dipendenti da questi luoghi per la sussistenza. La minaccia interessa anche alcuni degli animali più rari del Pianeta, come i gorilla di montagna e gli elefanti africani, i leopardi delle nevi, cetacei e le tartarughe marine.
Se questi siti e i loro ecosistemi rimanessero intatti, sottolinea il WWF, sarebbero preservate aree uniche che garantirebbero importanti benefici a lungo termine:
    93% dei Natural World Heritage Sites garantiscono benefici legati al turismo e alla ricreazione;
    91% garantisce interessanti sviluppi occupazionali e creazione di posti di lavoro
    84% contribuisce e promuovere e diffondere cultura e istruzione.

Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze e con la divulgazione delle notizie (che spesso sono di vera e propria controinformazione, opposta all’informazione ufficiale in mano alle agli stessi gruppi di potere e lobby del profitto), alla forza gigantesca di chi minaccia il Pianeta, ma di sicuro possiamo fare anche altro.

Serge Latouche, il teorico della decrescita felice, sostiene in una recente intervista: Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d'oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un'intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell'accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti.
Per vivere rispettando l’ambiente, salvaguardando la salute di tutti, Latousche propone una ricetta con tante “r”: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riusare, Riciclare. Otto azioni molto semplici per avviare un cammino virtuoso verso uno sviluppo sostenibile. (approfondisci qui).

Intervenendo a Terra Madre Giovani, il filosofo francese (ex economista, come si definisce,  l’economia l’ha deluso profondamente), ha parlato di un altro modo di vedere la produzione, il consumo e i rapporti sociali, ha descritto la necessità di un mondo più equo, più umano, più giusto. Il sistema produttivo in cui siamo immersi genera ovunque situazioni di ineguaglianza, sfruttamento e prevaricazione. E gli stessi indici di misurazione della ricchezza (come il Pil) sono completamente schiacciati su parametri finanziari e monetari, che non corrispondono al reale benessere delle popolazioni: "L'economia è una religione occidentale che ci rende infelici".
Viviamo in una società fagocitata da un'esigenza di crescita che non ha più motivi economici, ma è crescita per la crescita. Illimitatezza del prodotto, quindi illimitatezza dello sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili. Illimitatezza del consumo e quindi dei rifiuti e dello spreco, ossia dell'inquinamento dell'acqua e dell'aria". Una ricerca della crescita alimentata dalla pubblicità che fa desiderare quello che non si ha; sostenuta dalla banche "pronte a prestare denaro, quasi all'infinito" e condizionata dall'obsolescenza programmata: "Siamo condannati a consumare perché i nostri strumenti sono programmati per deteriorarsi più in fretta possibile".

La nostra unica speranza è la consapevolezza. Siamo bombardati in continuazione da messaggi, spesso aggressivi, che incitano al consumo sfrenato, al desiderio  del superfluo, di cibi che quasi cibi non sono, si vogliono innestare nelle persone esigenze che non sono naturali. La riscoperta è consapevolezza di valori perduti, per molti mai acquisiti. La consapevolezza sta nel non bere qualsiasi “acqua” ci vogliano far mandar giù. Acqua che mette sempre più sete, una sete falsa, di plastica.

La nostra lotta di consapevolezza è fatta, allora, anche di un’altra “r”:  rifiutarsi, Rifiutarsi di accettare passivamente. Possiamo essere diversi, meno avidi, più attivi, protagonisti del territorio, in sua difesa, anche nei piccoli gesti, che diventano grandi rivoluzioni se sono fatti da migliaia e poi milioni di persone.
Mi rifiuto di cambiate il telefonino finché quello che ho non sarà realmente da buttare; mi rifiuto di prendere l’auto se posso andare a piedi o prendere i mezzi pubblici; mi rifiuto di mangiare cibo preconfezionato quando posso prepararlo io più sano e magari coltivato da me; mi rifiuto di acquistare prodotti “freschi” fuori stagione; mi rifiuto di magiare quantità pazzesche di carne quando posso sostituirla con più sana verdura e legumi; mi rifiuto di fumare per poi diventare un malato cronico. Mi rifiuto, mi rifiuto, mi rifiuto! E mi incazzo pure! Perché voglio che l’aria che respiro sia pulita e l’acqua che bevo trasparente. Al fumo degli inceneritori, utili solo a chi li costruisce e li sfrutta, preferisco ridurre, riciclare e differenziare. Al proliferare di palazzi brutti, mal fatti, "con la data di scadenza breve impressa su ogni mattone", preferisco il recupero dei centri storici e delle infinite abitazioni vuote destinate altrimenti a diventare fatiscenti ruderi. Al grigio delle strade inutili, costruite solo per far piacere al sindaco di turno preferisco i campi coltivati come natura comanda.
Ci vuole poco in fondo: 8/9 ERRE e un po’ di incazzatura.
È ora di passare al contrattacco!

Fabio Ascani

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