(immagine dal web) |
Che il Pianeta fosse sotto
attacco lo sappiamo bene, così come sappiamo che i nemici dell’ambiente nel
quale dobbiamo vivere e lasciare ai nostri figli e alle generazioni che
verranno, sono persone senza scrupoli, mosse da avidità e sete di potere. Sono le
grandi multinazionali dell’energia, dell’industria farmaceutica, del cibo. Sono
quelli delle infrastrutture ad ogni costo, anche se sono inutili, sono i
cementificatori, gli sfruttatori del suolo, i cattivi amministratori, sono
coloro che si fingono ambientalisti nei programmi, nei proclami o nelle
pubblicità e poi nella realtà hanno come unisco scopo il profitto personale.
In questi giorni l’ultimo a
lanciare un allarme serio e grave è stato il WWF che nel suo Sito-web scrive:
31% dei siti naturali Patrimonio dell'umanità - 70 su 229 tra barriere
coralline, parchi nazionali, riserve naturalistiche - è minacciato dalle
esplorazioni per la ricerca di petrolio, gas e minerali. Un dato in crescita
rispetto al 24% di un anno fa. A lanciare l'allarme è un nuovo rapporto del
WWF, da cui emerge che il pericolo riguarda soprattutto i Paesi in via di
sviluppo.
Dal parco nazionale del Virunga in Congo a quello del Lago Malawi, fino
a uno dei più grandi parchi faunistici mondiali, la riserva Selous in Tanzania,
25 patrimoni mondiali su 41 (61%) sono interessati da attività o concessioni
per le estrazioni. In Asia il problema riguarda 24 siti su 70 (34%),
nell'America latina e caraibica 13 su 41 (31%). La situazione è meno grave in
Occidente: in Europa e Nord America sono in pericolo 7 siti su 71 (10%). Tra
questi il parco nazionale del Coto Donana, situato nell'estuario del fiume
Guadalquivir, nel sud della Spagna, una delle zone umide più importanti d'Europa
per l'unicità della biodiversità che ospita.
I siti naturali Patrimonio dell'umanità, che coprono meno dell'1% della
superficie del Pianeta e hanno un valore eccezionale in termini di specie e
paesaggi, corrono un rischio crescente di sfruttamento e di danni irreparabili,
che a loro volta danneggiano le comunità dipendenti da questi luoghi per la
sussistenza. La minaccia interessa anche alcuni degli animali più rari del
Pianeta, come i gorilla di montagna e gli elefanti africani, i leopardi delle
nevi, cetacei e le tartarughe marine.
Se questi siti e i loro ecosistemi rimanessero intatti, sottolinea il
WWF, sarebbero preservate aree uniche che garantirebbero importanti benefici a
lungo termine:
93% dei Natural World
Heritage Sites garantiscono benefici legati al turismo e alla ricreazione;
91% garantisce interessanti
sviluppi occupazionali e creazione di posti di lavoro
84% contribuisce e promuovere
e diffondere cultura e istruzione.
Dobbiamo opporci con tutte le
nostre forze e con la divulgazione delle notizie (che spesso sono di vera e
propria controinformazione, opposta all’informazione ufficiale in mano alle
agli stessi gruppi di potere e lobby del profitto), alla forza gigantesca di
chi minaccia il Pianeta, ma di sicuro possiamo fare anche altro.
Serge Latouche, il teorico della
decrescita felice, sostiene in una recente intervista: Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di
risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre
più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d'oro, tra la fine
della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni Settanta. Un periodo
caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un'intensità
senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell'accumulazione
continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti.
Per vivere rispettando
l’ambiente, salvaguardando la salute di tutti, Latousche propone una ricetta
con tante “r”: Rivalutare, Riconcettualizzare,
Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riusare, Riciclare. Otto
azioni molto semplici per avviare un cammino virtuoso verso uno sviluppo
sostenibile. (approfondisci
qui).
Intervenendo a Terra
Madre Giovani, il filosofo francese (ex economista, come si definisce, l’economia l’ha deluso profondamente), ha parlato
di un altro modo di vedere la produzione, il consumo e i rapporti sociali, ha
descritto la necessità di un mondo più equo, più umano, più giusto. Il sistema produttivo in cui siamo immersi
genera ovunque situazioni di ineguaglianza, sfruttamento e prevaricazione. E
gli stessi indici di misurazione della ricchezza (come il Pil) sono
completamente schiacciati su parametri finanziari e monetari, che non
corrispondono al reale benessere delle popolazioni: "L'economia è una
religione occidentale che ci rende infelici".
Viviamo in una società fagocitata da un'esigenza di crescita che non ha
più motivi economici, ma è crescita per la crescita. Illimitatezza del
prodotto, quindi illimitatezza dello sfruttamento delle risorse naturali
rinnovabili e non rinnovabili. Illimitatezza del consumo e quindi dei rifiuti e
dello spreco, ossia dell'inquinamento dell'acqua e dell'aria". Una ricerca
della crescita alimentata dalla pubblicità che fa desiderare quello che non si
ha; sostenuta dalla banche "pronte a prestare denaro, quasi
all'infinito" e condizionata dall'obsolescenza programmata: "Siamo
condannati a consumare perché i nostri strumenti sono programmati per
deteriorarsi più in fretta possibile".
La nostra unica speranza è la consapevolezza. Siamo bombardati in
continuazione da messaggi, spesso aggressivi, che incitano al consumo sfrenato,
al desiderio del superfluo, di cibi che
quasi cibi non sono, si vogliono innestare nelle persone esigenze che non sono
naturali. La riscoperta è consapevolezza
di valori perduti, per molti mai acquisiti. La consapevolezza sta nel non bere qualsiasi “acqua” ci vogliano far
mandar giù. Acqua che mette sempre più sete, una sete falsa, di plastica.
La nostra lotta di consapevolezza
è fatta, allora, anche di un’altra “r”: rifiutarsi, Rifiutarsi di accettare
passivamente. Possiamo essere diversi, meno avidi, più attivi, protagonisti del
territorio, in sua difesa, anche nei piccoli gesti, che diventano grandi
rivoluzioni se sono fatti da migliaia e poi milioni di persone.
Mi rifiuto di cambiate il
telefonino finché quello che ho non sarà realmente da buttare; mi rifiuto di
prendere l’auto se posso andare a piedi o prendere i mezzi pubblici; mi rifiuto
di mangiare cibo preconfezionato quando posso prepararlo io più sano e magari
coltivato da me; mi rifiuto di acquistare prodotti “freschi” fuori stagione; mi
rifiuto di magiare quantità pazzesche di carne quando posso sostituirla con più
sana verdura e legumi; mi rifiuto di fumare per poi diventare un malato
cronico. Mi rifiuto, mi rifiuto, mi rifiuto! E mi incazzo pure! Perché voglio
che l’aria che respiro sia pulita e l’acqua che bevo trasparente. Al fumo degli
inceneritori, utili solo a chi li costruisce e li sfrutta, preferisco ridurre,
riciclare e differenziare. Al proliferare di palazzi brutti, mal fatti, "con la
data di scadenza breve impressa su ogni mattone", preferisco il recupero dei centri
storici e delle infinite abitazioni vuote destinate altrimenti a diventare
fatiscenti ruderi. Al grigio delle strade inutili, costruite solo per far
piacere al sindaco di turno preferisco i campi coltivati come natura comanda.
Ci vuole poco in fondo: 8/9 ERRE
e un po’ di incazzatura.
È ora di passare al contrattacco!
Fabio Ascani