di Francesca Senna
«La vidi apparire,
nera, con gli occhi color germoglio d’erbe, sulla soglia della notte. La sua
figura si compose, si fece immobile. Vigile, ma senza paura né preghiera, la
gatta viveva quel momento con le proprie pupille, in un mondo luminosissimo,
rosato, quale a noi può apparire un’alba di primavera. Era la sua prima
stagione, il primo affacciarsi ad una casa d’uomo uscendo dai confini del
territorio selvaggio. Mi studiava come io fossi illuminata da una cellula
fotoelettrica, nei particolari, e probabilmente quella era la conclusione di un
lungo esame portato a termine a mia insaputa e iniziato molto tempo prima».
Un testo estremamente emozionante per me che ho vissuto in
prima persona le stesse esperienze.
Forse però l'averle vissute appieno, un po' mi influenza
nell'esprimere un giudizio appropriato al 100%.
Si sente forte lo stile asciutto della giornalista che cerca
di superare questo "limite" impegnandosi in un cammino che,
personalmente ritengo, avrebbe potuto avere maggiore trasporto ed armonia se
non si fosse limitata a voler dare una visione asettica del rapporto umano
animali.
Le buone intenzioni ci sono tutte. L'autrice stessa riconosce
di aver compiuto un cammino di crescita e miglioramento, ma forte è ancora
nella sua penna l'esperienza di giornalista.
Ciò senza togliere alla sua comunque notevole capacità di
esprimersi con termini appropriati in ogni fase del racconto.
Da leggere.