Crisi,
recessione, luce in fondo al tunnel che tarda ad intravedersi. È
questo il ritornello più in voga da qualche mese (o forse anno?) a
questa parte. Ma se per qualcuno “il peggio è ormai alle spalle”,
probabilmente sarebbe il caso di armarsi di santa pazienza e di una
buona dose di coraggio per fronteggiare al meglio ciò che ci
aspetterà nel prossimo futuro.
“Patto
di bilancio europeo”,
“Trattato
sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e
monetaria”
oppure, più semplicemente, “Fiscal
compact”.
È questo lo spettro che aleggia sul nostro Paese e su molti altri in
nome del “ce lo chiede l’Europa”.
L’accordo,
approvato con trattato
internazionale il
2 marzo 2012 ed
entrato in vigore il 1º gennaio 2013,
rischia di celare dietro le sue cosiddette “regole d'oro" la
definitiva pietra tombale per la nostra economia.
A
partire dal 2015 l’Italia sarà condannata a rispettare parametri a
dir poco utopistici quale, su tutti, un rapporto debito/PIL non
superiore al 60% (per la cronaca, siamo
oltre il 133%).
Avremo vent’anni di tempo, anche se il conto alla rovescia sembra
già iniziato. A quel punto si ricorderanno nostalgicamente le
baruffe per raccogliere, tra le macerie del territorio, l’irrisoria
cifra di 4 miliardi di euro per sospendere una rata dell’Imu, vere
e proprie briciole a dispetto dello spropositato sforzo economico cui
saranno soggiogati tutti gli italiani.
Con
un debito pubblico che assurge oramai a livelli impensabili (siamo
a 2.104 miliardi,
nuovo record) e con l’onnipresente cappio al collo rappresentato
dal rispetto di quel 3% nel rapporto deficit/PIL, i futuri governi
dovranno sobbarcarsi l’onere di reperire risorse tanto
mastodontiche quanto insostenibili (si
parla di decine di miliardi di euro, ogni anno per 20 anni) con
lo scopo di assicurare una riduzione
media annua del rapporto debito/PIL di 3,65 punti percentuali (che,
stando all’attuale situazione, è il minimo indispensabile per
rientrare nel perimetro richiesto nei termini temporali stabiliti).
Come fare? Malgrado sia
oramai appurato che austerità e tasse deprimono i salari reali e
annullano
i consumi, non sarà percorsa altra strada che la più semplice:
quella fiscale. Ancora tasse, come non fosse già abbastanza.
Confcommercio ha recentemente rilevato che quello appena toccato
collima con il livello
di tassazione più elevato nella storia del nostro paese ed il
problema è che tutto ciò, oltre ad annichilire i consumatori,
annienta quasi radicalmente le velleità di ripresa da parte delle
imprese, sottomesse ad un sistema che riserva loro trattamenti
se possibile ancor più aspri. Come non bastasse, i rubinetti
delle banche sono incontestabilmente chiusi in modo ermetico
(Osservatorio
Credito Confcommercio e Banca
d’Italia) e, in un contesto del genere, non sorprende se i
principali effetti saranno riscontrati sul lato occupazionale
(che già oggi fa rilevare dati
record).
Da questa situazione non se
ne uscirà. Peggiorerà. È un cane che si morde la coda: tasse,
consumi a picco, credit crunch, disoccupazione. L’unica via, per
tentare di “prevenire” l’ondata che si intravede all’orizzonte,
è ridiscutere la posizione del Paese nei confronti dell’Europa.
Primo punto in agenda? Il Fiscal compact ovviamente.
Daniele Serio