Il referendum detto “sulle
trivelle” ha superato il singolo testo sotto esame ed i suoi relativi
cambiamenti e ha assunto un forte valore ideologico.
L’attesa è che il risultato possa influenzare le future scelte energetiche e
ambientali. Del resto i giacimenti entro le 12 miglia garantiscono un apporto
limitato alla produzione nazionale e le stesse società coinvolte, da Eni e
Edison, non temono l'effetto economico del voto: "La vittoria del sì avrebbe un
impatto risibile su conti e bolletta energetica"
Il 17 aprile siamo chiamati alle urne
per un referendum importantissimo.
Ai
cittadini verrà chiesto se vogliono abrogare una norma (il terzo periodo del
comma 17 dell'articolo 6 del Codice dell'Ambiente) che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro
le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all'esaurimento del giacimento,
senza limiti di tempo. In altre
parole verrà chiesto se, quando scadranno le concessioni, si vuole che vengano
fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è
ancora gas o petrolio.
A
oggi nei mari italiani, entro le 12 miglia, sono presenti 35 concessioni di
coltivazione di idrocarburi, di cui tre inattive, una è in sospeso fino alla
fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le
restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono
distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Di queste, 9
concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza ma con proroga già
richiesta; le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e
il 2027 e in caso di vittoria del Sì arriveranno comunque a naturale scadenza.
Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in
totale sulle 31 attive: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in
Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito
referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, quattro nell'alto Adriatico,
2 nell'Adriatico centrale davanti alle coste abruzzesi, uno nel mare di
Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, uno al largo di Pantelleria.
Il
referendum è stato anche definito “contro
le trivelle” soltanto per una semplificazione, ma le trivelle in questo
caso centrano ben poco ma aiutano a semplificare un concetto fondamentale: siamo per lo sfruttamento del sottosuolo
fino all’ultimo o vogliamo cambiare politica energetica e rivolgerci a forme
alternative più pulite e sicure?
In
sostanza, se dovesse vincere il SI, cosa che ci auspichiamo, queste piattaforme
petrolifere che sono entro le 12 miglia dalla costa potranno estrarre
idrocarburi soltanto fino al termine della concessione che non potrà più
essere rinnovata. Per chi sostiene che questa sia poca cosa e il referendum
inutile, facciamo notare che i cittadini possono dare, votando SI, un reale
indirizzo alle politiche energetiche nazionali, spingere perché vengano
privilegiate le energie alternative, le rinnovabili, che sono pulite e sicure
per l’ambiente. Inoltre aumenterà la sicurezza per il nostro mare che sarà meno
esposto ai rischi di inquinamento per fuoriuscite o perdite di sostanze.
A
chi sostiene che la vittoria del SI potrebbe portare alla perdita di posti di
lavoro vogliamo far riflettere che l’Italia ha una produzione risibile e in
calo. Le 135 piattaforme nei mari italiani hanno prodotto, nel 2015 (dati del
Ministero dello Sviluppo economico), circa 4,5 milioni di tonnellate di gas e
750 mila di greggio. Nel 2014 erano, rispettivamente, 4,8 milioni e 754 mila.
Le riserve certe di idrocarburi offshore, del resto, non lasciano molto margine
agli ottimisti: con 29,4 milioni di tonnellate di gas e 7,6 di petrolio, i
numeri sono chiari e non mostrano un futuro in cui si possano incrementare
posti di lavoro.
All’opposto nel settore delle rinnovabili le occasioni di
lavoro sono in costante aumento inoltre ecco alcuni dati:
- 1 miliardo investito in agricoltura
biologica produce 4500 posti di lavoro
- 1 miliardo investito in bonifiche
(Terra de fuochi, Ilva etc etc) produce 14.000 posti di lavoro
- 1 miliardo investito in rinnovabili
produce 17.000 posti di lavoro
(dati
forniti dai capigruppo del M5S di Camera e Senato Michele Dell'Orco e Nunzia
Catalfo e, da quanto ci risulta, mai smentiti).
Ma
cosa accade all’estero? La risposta è semplice. A tutela dell’ambiente e dello splendido
ma estremamente delicato ecosistema del Mediterraneo, dopo la Croazia, che già
si era espressa contro le estrazioni di idrocarburi in mare lo scorso gennaio con l’annuncio del premier
incaricato Tim Oreskovic , anche la Francia non cercherà più petrolio in
Mediterraneo. Il ministro francese per l’Ambiente Ségolène Royal, ha deciso di
applicare una moratoria «immediata» sui permessi di ricerca di idrocarburi nel
Mar Mediterraneo.
Non
è quindi quello del 17 un referendum inutile o dannoso come lo hanno definito
alcuni, ma un alto momento di democrazia in cui i cittadini sono chiamati ad
esprimersi su un argomento di grande
importanza e che non riguarda soltanto le regioni più interessate per la
vicinanza delle piattaforme petrolifere ma tutti gli italiani, perché il mare è
di tutti e dobbiamo difenderlo; perché l’ambiente ha bisogno di politiche
energetiche sicure e pulite che oggi sono a portata di mano ma che
evidentemente non sono ancora un business abbastanza interessante e lucroso quanto
quello dei fossili per le lobby del petrolio.
Ad
Ariccia e nei Castelli Romani invitiamo ad andare a votare SI, senza
dubbi e senza cedere alle istigazioni del partito di governo, il PD, che invita, anche con il Presidente del Consiglio Renzi all’astensione.
Il 17 Aprile non andremo al mare per salvare il mare!
Fabio Ascani