giovedì 14 aprile 2016

Il 17 aprile siamo chiamati alle urne per un referendum importantissimo.

Il referendum detto “sulle trivelle” ha superato il singolo testo sotto esame ed i suoi relativi cambiamenti e  ha assunto un forte valore ideologico. L’attesa è che il risultato possa influenzare le future scelte energetiche e ambientali. Del resto i giacimenti entro le 12 miglia garantiscono un apporto limitato alla produzione nazionale e le stesse società coinvolte, da Eni e Edison, non temono l'effetto economico del voto: "La vittoria del sì avrebbe un impatto risibile su conti e bolletta energetica"

Il 17 aprile siamo chiamati alle urne per un referendum   importantissimo.

Ai cittadini verrà chiesto se vogliono abrogare una norma (il terzo periodo del comma 17 dell'articolo 6 del Codice dell'Ambiente) che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all'esaurimento del giacimento, senza limiti di tempo. In altre parole verrà chiesto se, quando scadranno le concessioni, si vuole che vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è ancora gas o petrolio.

A oggi nei mari italiani, entro le 12 miglia, sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui tre inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Di queste, 9 concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta; le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 2027 e in caso di vittoria del Sì arriveranno comunque a naturale scadenza. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, quattro nell'alto Adriatico, 2 nell'Adriatico centrale davanti alle coste abruzzesi, uno nel mare di Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, uno al largo di Pantelleria.

Il referendum è stato anche definito “contro le trivelle” soltanto per una semplificazione, ma le trivelle in questo caso centrano ben poco ma aiutano a semplificare un concetto fondamentale: siamo per lo sfruttamento del sottosuolo fino all’ultimo o vogliamo cambiare politica energetica e rivolgerci a forme alternative più pulite e sicure?

In sostanza, se dovesse vincere il SI, cosa che ci auspichiamo, queste piattaforme petrolifere che sono entro le 12 miglia dalla costa potranno estrarre idrocarburi soltanto fino al termine della concessione che non potrà più essere rinnovata. Per chi sostiene che questa sia poca cosa e il referendum inutile, facciamo notare che i cittadini possono dare, votando SI, un reale indirizzo alle politiche energetiche nazionali, spingere perché vengano privilegiate le energie alternative, le rinnovabili, che sono pulite e sicure per l’ambiente. Inoltre aumenterà la sicurezza per il nostro mare che sarà meno esposto ai rischi di inquinamento per fuoriuscite o perdite di sostanze.

A chi sostiene che la vittoria del SI potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro vogliamo far riflettere che l’Italia ha una produzione risibile e in calo. Le 135 piattaforme nei mari italiani hanno prodotto, nel 2015 (dati del Ministero dello Sviluppo economico), circa 4,5 milioni di tonnellate di gas e 750 mila di greggio. Nel 2014 erano, rispettivamente, 4,8 milioni e 754 mila. Le riserve certe di idrocarburi offshore, del resto, non lasciano molto margine agli ottimisti: con 29,4 milioni di tonnellate di gas e 7,6 di petrolio, i numeri sono chiari e non mostrano un futuro in cui si possano incrementare posti di lavoro. 
All’opposto nel settore delle rinnovabili le occasioni di lavoro sono in costante aumento inoltre ecco alcuni dati:
- 1 miliardo di euro investito in "trivelle" produce 500 posti di lavoro
- 1 miliardo investito in agricoltura biologica produce 4500 posti di lavoro
- 1 miliardo investito in bonifiche (Terra de fuochi, Ilva etc etc) produce 14.000 posti di lavoro
- 1 miliardo investito in rinnovabili produce 17.000 posti di lavoro
(dati forniti dai capigruppo del M5S di Camera e Senato Michele Dell'Orco e Nunzia Catalfo e, da quanto ci risulta, mai smentiti).

Ma cosa accade all’estero? La risposta è semplice. A tutela dell’ambiente e dello splendido ma estremamente delicato ecosistema del Mediterraneo, dopo la Croazia, che già si era espressa contro le estrazioni di idrocarburi in mare lo scorso gennaio con l’annuncio del premier incaricato Tim Oreskovic , anche la Francia non cercherà più petrolio in Mediterraneo. Il ministro francese per l’Ambiente Ségolène Royal, ha deciso di applicare una moratoria «immediata» sui permessi di ricerca di idrocarburi nel Mar Mediterraneo.

Non è quindi quello del 17 un referendum inutile o dannoso come lo hanno definito alcuni, ma un alto momento di democrazia in cui i cittadini sono chiamati ad esprimersi su un argomento di grande  importanza e che non riguarda soltanto le regioni più interessate per la vicinanza delle piattaforme petrolifere ma tutti gli italiani, perché il mare è di tutti e dobbiamo difenderlo; perché l’ambiente ha bisogno di politiche energetiche sicure e pulite che oggi sono a portata di mano ma che evidentemente non sono ancora un business abbastanza interessante e lucroso quanto quello dei fossili per le lobby del petrolio.

Ad Ariccia e nei Castelli Romani invitiamo ad andare a votare SI, senza dubbi e senza cedere alle istigazioni del partito di governo, il PD, che invita, anche con il Presidente del Consiglio Renzi all’astensione.
Il 17 Aprile non andremo al mare per salvare il mare!

Fabio Ascani










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